Ciao a tutti e bentrovati su PARALLELO!
Mi sbaglio o le giornate si stanno già allungando? Beh, sarebbe una notizia incredibile questa, abbastanza da usarla per aprire la puntata di oggi.
Dopo avervi distrutto con 3 settimane di classifiche, oggi torniamo all’attualità. Chi ha detto SanPa? Io!
Non sono mai stato avvezzo al binge watching e fino a due anni fa nemmeno avevo un abbonamento a Netflix. Guardare serie tv/documentari non era assolutamente una priorità e forse non avevo voglia ritagliarmi del tempo per stare davanti al computer.
La pressione sociale di questa mia “scelta” non l’ho avvertita fino a quando non ho smesso di nuotare. Prima il tempo non esisteva proprio – uscivo di casa alle 7.30 e ci tornavo alle 9.30/10 – e sono riuscito a resistere anche un altro paio di anni prima di appassionarmi un minimo ai contenuti audiovisivi. Poi, per non restare fuori la cerchia di amici e Twitter (soprattutto), mi sono piegato alle logiche di mercato.
Tutta questa premessa per dire? In due giorni ho visto tutti gli episodi di SanPa – docu-serie al centro del dibattito in Italia da un paio di settimane. Solo con The Office mi era capitato di stare così tanto a consumare minuti davanti allo schermo (non proprio lo stesso tema).
Oltre alle immagini e ai racconti raccapriccianti, ma allo stesso tempo incredibilmente dolci, quello che mi è rimasto in testa è proprio il protagonista di SanPa: la droga.
Quanto gli anni 80 siano stati devastanti per la generazione nata 20 anni prima (o giù di lì) – a causa della larga diffusione delle droghe pesanti e dei suoi drammatici risvolti – è evidente e documentato. Quello che sembra implicita – almeno a me – è come sembri invece che la nostra contemporaneità non soffra più di questo problema. Non metto in dubbio che i progressi della scienza abbiano aiutato a combattere i problemi più meschini della dipendenza, ma per quanto riguarda la società moderna ho qualche dubbio.
A me sembra che ad oggi, 11 gennaio 2021, la droga sia dappertutto. Da ascoltatore e appassionato di rap forse non potrebbe essere il contrario (non che sia l’unico genere coinvolto eh). Non parlo solo dei testi – ho appena finito di ascoltare il nuovo disco di Nex Cassel – ma soprattutto di quella che è diventata l’immaginario della vita degli artisti. Anche i rapper sono costretti al rehab.
Famous Dex è l’ultimo esempio di questo male. Gli ultimi giorni dello scorso anno, fan e colleghi, vedendolo in condizioni pessime durante una live, si sono dirottati in massa per aiutare il rapper di Chicago. Per fortuna, Rich the Kid, che è suo socio e grande amico, proprio ieri ci ha tenuto a far sapere al pubblico che Dex sta recuperando bene. In Italia il caso più recente era stato Side, ex Dark Polo. Gang.
Sono sterili le critiche di chi si lamenta di brani che parlano solo di “cannette”, codeina o affini, anche un attore non agisce nella vita reale come i ruoli che interpreta. La questione non è però così semplice, è innegabile che un minimo di emulazione ci sia (ma non scommetterei sulla responsabilità).
Io non so come possa essere una docu-serie a tema rap girata nella seconda decade del 2000, ma senza dubbio il ruolo delle droghe non può ricoprire un ruolo troppo secondario.
Voi che ne pensate in merito? Pensate, come me, che il binomio droga/rap sia un tema centrale nello sviluppo del genere?
Grazie!