Ciao a tutti e bentrovati su PARALLELO!
Questa settimana in versione serale nell’appuntamento – che sta diventando solito – del lunedì. Giornata interessante quella di oggi, che non mi ha impedito però di fare due cose che mi piacciono molto: vedere Paolo Mieli in tv e scrivervi :)
Prima di iniziare però mi chiedevo se potesse interessare una playlist Spotify come quella UK (linkata qui) ma fatta per il rap francese (ci metto tutte le cose belle del 2020). Aspetto risposte, grazie.
Oggi parliamo di cinema *folla in visibilio*
Non è vero che scriverò di cinema, smontiamo subito facili entusiasmi. O meglio, un film nel ragionamento di oggi ce lo butto dentro.
Ieri sera ho visto Split (Shyamalan, 2016) per la prima volta. Domenica sera sul divano con mio padre, perfetta ambientazione per godermi un film senza domande o interruzioni, solo interventi arguti.
Il film mi è piaciuto e – per quanto estremamente ansiogeno – mi ha stimolato la mente per il discorsetto che volevo proporvi. Senza fare spoiler (oh sta nella trama) il protagonista di Split soffre del Disturbo Dissociativo dell’Identità e questo lo porta a “vivere” 23 diverse versioni di se stesso. C’è il fashion addicted, il maniaco dell’ordine e anche l’identità femminile.
A differenza delle persone “sane mentalmente”, il protagonista vive le sue personalità in base a quale conquista la luce e prevale sulle altre.
Mi fermo proprio qui e lo porto nel mondo che più conosco: le frecette. No il rap – che piace molto anche al protagonista, fan di Kanye (se solo lo vedesse ora :()
Westside Gunn (e Griselda tutta) pubblica solo nel 2020 3 progetti ufficiali che – per quanto mi piacciano da impazzire – sono tutti sullo stesso stile: sample e barre. Abra Cadabra, rapper londinese di cui avevo parlato qui, venerdì scorso ha fatto uscire il 10+ singolo dell’anno, restando fedele per filo e per segno ai canoni della drill UK. Non un suono o una barra fuori contesto.
Lil Wayne, invece, con Funeral tocca tutti i generi affini all’hip hop e nelle 32 tracce (deluxe compresa) accontenta proprio tutti – c’è pure Adam Levine. Molto simile il prodotto dei 13 Organisé – banda di rapper di Marsiglia capitanata da Jul – che spazia dall’old school ai beat afro in pochi brani.
Ok, ma allora?
Qual è il nostro limite per l’espressione dell’artisticità di un rapper?
Mi spiego. Sento (e forse dico) spesso che quando esce un album monotematico – o magari monoflow – è banale. Però se fai un singolo rap con i sample e poi sperimenti qualche suono più latino sei un venduto.
Dutchavelli, rapper di cui vi ho fatto egregiamente una testa enorme, ha fatto uscire venerdì il suo primo mixtape: campionario di drill di rara bellezza. Ma è tutto drill. Quindi ho letto che avrebbe potuto testare il proprio range vocale oppure che per questo non è un vero artista.
Davvero è sempre l’ascoltatore a dover giudicare che un progetto o una serie di singoli sia coerente con il percorso dell’artista? Cosa ne sappiamo noi degli ascolti, delle influenze o semplicemente delle sperimentazioni che un rapper vorrebbe mettere in atto, ma, per paura di un feedback negativo non pubblica?
Che dico? Prendiamoci la musica come viene, in tutte le sfumature. Poi se ci piace Jake la Furia che fa reggaeton, ce lo sentiamo con Spotify offline al chiuso nello sgabuzzino.
Abbiamo finito. Mi raccomando fate i bravi (e se volete consigliatemi un film).
Grazie!
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